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Interdittive Antimafia Dipendenti Pubblici Forze di Polizia

Interdittive Antimafia Dipendenti Pubblici Forze di Polizia. Tuttavia, quando coinvolgono dipendenti pubblici, inclusi membri delle forze di polizia, la questione assume una complessità particolare.​

Applicazione delle interdittive antimafia ai dipendenti pubblici

Le interdittive antimafia sono tipicamente rivolte a soggetti economici, come imprese e società. Tuttavia, in casi eccezionali, possono essere applicate anche a persone fisiche, inclusi dipendenti pubblici, qualora vi siano elementi concreti che indichino un rischio di infiltrazione mafiosa attraverso il loro operato. Ad esempio, un dipendente pubblico che, attraverso il proprio ruolo, favorisca consapevolmente interessi mafiosi potrebbe essere oggetto di un’interdittiva antimafia.

Coinvolgimento delle forze di polizia

Le forze di polizia svolgono un ruolo cruciale nel contrasto alla criminalità organizzata e nella raccolta di informazioni per l’emissione delle interdittive antimafia. Tuttavia, vi sono stati casi in cui membri delle forze dell’ordine sono stati coinvolti in attività illecite legate alla criminalità organizzata. Ad esempio, sono stati documentati episodi in cui agenti hanno fornito informazioni riservate a organizzazioni mafiose o hanno ostacolato indagini in corso. Tali comportamenti, se accertati, possono portare a procedimenti disciplinari e penali, ma l’applicazione di un’interdittiva antimafia a un membro delle forze di polizia è rara e richiede una valutazione approfondita da parte delle autorità competenti.

Procedura e garanzie

L’emissione di un’interdittiva antimafia nei confronti di un dipendente pubblico o di un membro delle forze di polizia deve seguire una procedura rigorosa, garantendo il diritto alla difesa e alla partecipazione al procedimento. Il soggetto interessato ha il diritto di essere informato delle ragioni alla base del provvedimento e di presentare controdeduzioni. Inoltre, è possibile impugnare l’interdittiva davanti al giudice amministrativo per contestarne la legittimità.

Conclusioni

Sebbene le interdittive antimafia siano strumenti fondamentali per prevenire l’infiltrazione mafiosa nelle istituzioni, la loro applicazione a dipendenti pubblici, e in particolare a membri delle forze di polizia, è complessa e richiede un’attenta valutazione delle circostanze specifiche. È essenziale garantire un equilibrio tra la necessità di prevenzione e la tutela dei diritti individuali, assicurando che ogni provvedimento sia basato su elementi concreti e sia adottato nel rispetto delle garanzie procedurali previste dalla legge.

Interdittive Antimafia Gruppo Interforze Antimafia quando sbagliano valutazioni

Una questione di particolare rilievo giuridico.

Il Gruppo Interforze Antimafia (GIA) è un organismo tecnico-consultivo composto da rappresentanti di diverse Forze dell’Ordine, che coadiuva il Prefetto nelle attività di accertamento. Tuttavia, la responsabilità dell’adozione dell’interdittiva rimane esclusivamente prefettizia, non delegabile. Il GIA fornisce elementi e pareri, ma non adotta alcun provvedimento.

Quando le valutazioni sono erronee: rimedi e giurisprudenza

Qualora la valutazione del GIA sia ritenuta erronea o eccessivamente sospetta senza concreti indizi di condizionamento mafioso, l’interdittiva può essere impugnata:

  • ricorso al TAR, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento;

  • ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, entro 120 giorni.

I giudici amministrativi, specie il Consiglio di Stato, hanno affermato più volte che, sebbene l’interdittiva antimafia sia un atto preventivo, essa deve fondarsi su elementi oggettivi, attuali e concreti, e non su mere supposizioni o collegamenti indiziari non significativi.

Ad esempio, la giurisprudenza ha riconosciuto l’illegittimità di un’interdittiva basata solo su legami parentali o su frequentazioni occasionali, ritenute non sufficientemente indicative di un condizionamento mafioso (cfr. Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 1743/2021).

Responsabilità in caso di errore

Se le valutazioni errate del GIA sono recepite acriticamente dal Prefetto, ciò può dar luogo a responsabilità dell’amministrazione per danno ingiusto, ex art. 2043 c.c., anche se non agevolmente configurabile. Infatti:

  • La natura discrezionale dell’interdittiva rende arduo il riconoscimento di una colpa dell’amministrazione.

  • Tuttavia, in casi di manifesta abnormità o di assenza di istruttoria, la giurisprudenza ha talvolta accolto domande risarcitorie.

Gruppo Interforze Antimafia valutazioni errate cosa rischiano

La questione riguarda la responsabilità giuridica del Gruppo Interforze Antimafia (GIA) – solitamente istituito presso le Prefetture – nel caso in cui esprima valutazioni errate, ad esempio in sede di informativa antimafia che comporti l’esclusione da un appalto o la revoca di autorizzazioni/licenze.

Per inquadrare giuridicamente la fattispecie, è necessario distinguere:


1. Natura delle valutazioni del GIA

Il GIA è un organo tecnico-consultivo che concorre alla formazione del giudizio prefettizio sulla sussistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose in un’impresa, ai fini del rilascio dell’informativa antimafia interdittiva. Tuttavia, il provvedimento finale è adottato dal Prefetto, che rimane formalmente e sostanzialmente titolare della decisione.


2. Responsabilità in caso di errore

Se la valutazione del GIA risulta errata o infondata (ad esempio, se si basa su presupposti fattuali inesatti o su un’interpretazione giuridica distorta), le conseguenze giuridiche possono essere:

a) Annullamento giurisdizionale dell’interdittiva

Il destinatario può impugnare l’interdittiva davanti al giudice amministrativo (TAR), e in tale sede il provvedimento può essere annullato se risulta viziato (per eccesso di potere, carenza istruttoria, travisamento dei fatti).

b) Responsabilità civile della pubblica amministrazione

A seguito di annullamento, può sussistere responsabilità per danni ai sensi dell’art. 2043 c.c. (illecito aquiliano), a condizione che venga dimostrata la colpa grave o il dolo. Tuttavia, tale responsabilità riguarda la Prefettura, non direttamente il GIA, salvo responsabilità personale in casi eccezionali.

c) Responsabilità erariale e disciplinare

Se l’errore deriva da negligenza grave dei componenti del GIA, potrebbe profilarsi anche una responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale, accertabile dalla Corte dei Conti, oltre a possibili procedimenti disciplinari per i funzionari coinvolti.


3. Ipotesi di responsabilità penale

È residuale ma non esclusa: in presenza di comportamenti dolosi (es. falsificazione di atti, abuso d’ufficio), potrebbe configurarsi un illecito penale. Tuttavia, l’accertamento spetterebbe al giudice penale, previa verifica dei presupposti soggettivi e oggettivi.

Gruppo Interforze Antimafia valutazioni errate come denunziare

Per inquadrare correttamente la questione è opportuno precisare alcuni elementi. Tuttavia, a titolo generale, ecco l’inquadramento giuridico della tematica proposta.

1. Premessa

Il Gruppo Interforze Antimafia (GIA), operante presso le Prefetture, è un organo tecnico consultivo che coadiuva il Prefetto nelle attività di prevenzione antimafia, in particolare nella valutazione delle informazioni ai fini dell’adozione di interdittive antimafia ex art. 84 e ss. del D.Lgs. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia).

Se ritieni che una valutazione del GIA sia viziata da errori di fatto o di diritto, o addirittura travalichi i limiti di legge, esistono diverse possibili iniziative a seconda del contesto in cui tale valutazione è stata utilizzata:


2. Impugnazione dell’interdittiva prefettizia

Se la valutazione ha condotto all’adozione di una informazione antimafia interdittiva:

  • Strumento: Ricorso al TAR competente per territorio (solitamente quello del luogo in cui ha sede l’impresa) ex art. 29 c.p.a.;

  • Termine: 60 giorni dalla notificazione o comunicazione del provvedimento;

  • Motivi: Violazione di legge, eccesso di potere, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, violazione del contraddittorio.


3. Tutela penale e civile

Se le valutazioni del GIA sono state espresse con dolo o colpa grave, e abbiano integrato falsità o diffamazione, è astrattamente configurabile:

  • Esposto o querela alla Procura della Repubblica per ipotesi di reato (es. abuso d’ufficio ex art. 323 c.p., calunnia, diffamazione, falsità ideologica in atto pubblico, ecc.);

  • Azione civile per risarcimento del danno nei confronti della P.A. ex art. 2043 c.c. e art. 28 Cost., previa esperibilità del ricorso amministrativo ove previsto.


4. Accesso agli atti

È opportuno richiedere accesso agli atti ex art. 22 ss. L. 241/1990 per conoscere esattamente il contenuto delle valutazioni del GIA, i documenti posti a base della determinazione prefettizia e ogni altro elemento utile a ricostruire l’istruttoria.


5. Segnalazione all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC)

In presenza di anomalie procedimentali o violazioni di principi di trasparenza e imparzialità, può essere valutata anche una segnalazione all’ANAC.


Avvocatura dello stato copia incolla riproduce integralmente le accuse interdittiva antimafia

nell’ambito del giudizio amministrativo, molto probabilmente davanti al TAR o al Consiglio di Stato, dove l’Avvocatura dello Stato si è costituita in difesa dell’Amministrazione (Prefettura o Ministero dell’Interno), depositando una memoria che riporta integralmente e acriticamente il contenuto del provvedimento interdittivo antimafia.

Questa condotta può essere giuridicamente inquadrata sotto diversi profili:

1. Rilievo formale e sostanziale della condotta

Nel processo amministrativo, le difese dell’Avvocatura dello Stato devono rispettare il principio del contraddittorio e contribuire a chiarire i presupposti fattuali e giuridici del provvedimento impugnato. Una mera riproduzione pedissequa e priva di argomentazioni autonome del provvedimento impugnato può essere letta come un vizio di carenza di motivazione nelle difese, che, pur non incidendo di per sé sulla legittimità del provvedimento originario, rileva sotto il profilo del comportamento processuale della P.A. resistente.

2. Riflessi sul merito del giudizio

Nel contesto delle interdittive antimafia, la giurisprudenza richiede una valutazione autonoma e concreta da parte della Prefettura. Se l’Avvocatura si limita a trascrivere, anche in giudizio, le stesse motivazioni senza offrire chiarimenti, ciò può rafforzare eventuali censure di carenza di istruttoria, difetto di motivazione o eccesso di potere nel provvedimento impugnato.

3. Profili giurisprudenziali

La giurisprudenza amministrativa, pur non censurando in sé il “copia e incolla”, ha più volte evidenziato l’obbligo per l’Amministrazione di giustificare in giudizio il proprio operato con un contributo processuale attivo. Una memoria difensiva del tutto tautologica potrebbe essere valorizzata dal giudice come sintomo di debolezza istruttoria.

Difendersi Accuse Senza Prove Interdittiva Antimafia

Difendersi da Accuse Senza Prove Interdittiva Antimafia. Specialmente in contesti delicati come l’applicazione dell’interdittiva antimafia, è una situazione complessa ma non impossibile da affrontare. Ti spiego i punti fondamentali per capire e impostare una strategia di difesa.

Cos’è l’interdittiva antimafia?

L’interdittiva antimafia è un provvedimento amministrativo emesso dal Prefetto, che vieta a un’impresa di contrattare con la Pubblica Amministrazione, ritenendola a rischio di infiltrazioni mafiose.
Non serve una condanna penale, basta il “pericolo di infiltrazione” → quindi si basa su elementi indiziari, anche deboli.

Rapporti fantasiosi o infondati redatti da parte del Gruppo Interforze Antimafia a Palermo 112 interdittive solo nel 2023.  

Che poi hanno portato all’emissione di un’interdittiva antimafia. È un tema molto delicato e purtroppo sempre più attuale.

Ti spiego come funziona il meccanismo e come si può controbattere se ci sono errori, esagerazioni o deduzioni arbitrarie.

Controbattere rapporti fantasiosi, infondati o esagerati redatti dal Gruppo Interforze Antimafia è difficile ma possibile, soprattutto se si agisce in modo tecnico e ben documentato.

Ecco come si può rispondere punto per punto, anche in caso di errori, deduzioni arbitrarie, o collegamenti deboli.

Impostare una difesa forte: la chiave è la documentazione

Il rapporto del Gruppo Interforze non è insindacabile. È un atto istruttorio, non definitivo, e può essere contestato sia sul piano sostanziale che su quello formale.


🧩 Cos’è il Gruppo Interforze Antimafia?

È un organismo composto da:

  • Polizia di Stato
  • Carabinieri
  • Guardia di Finanza
  • DIA (a volte)

Questo gruppo fornisce informazioni al Prefetto che poi emette (o meno) l’interdittiva antimafia. Quindi non decide, ma il Prefetto si basa quasi sempre su quanto viene scritto nel rapporto interforze.


🧨 Cosa succede quando il rapporto è “fantasioso”?

A volte nei rapporti si trovano:

  • Deduzioni basate su parenti lontani o ex soci con precedenti
  • Colloqui occasionali o relazioni “di vicinato” interpretate come legami stabili
  • Frasi come “ambiente permeabile alla criminalità” senza prove concrete
  • Errori anagrafici, omonimie o fatti vecchissimi non più attuali

👉 Queste cose possono gonfiare artificialmente il rischio di infiltrazione, anche quando l’impresa è sana.


⚖️ Come si contrattacca in questi casi?

1. Accesso agli atti completo

  • Serve vedere tutto il rapporto interforze, non solo il provvedimento finale. Questo è un diritto, ma a volte viene ostacolato.
    • Chiedere tutti i documenti alla Prefettura, incluso il rapporto integrale.
    • Anche tramite avvocato, ai sensi della Legge 241/1990 sul procedimento amministrativo.

    📌 Attenzione: a volte si tenta di omettere parti del rapporto per “motivi di riservatezza”. Ma il TAR ha più volte stabilito che l’impresa ha diritto di conoscere gli elementi a proprio carico per potersi difendere.

2. Smontare il castello indiziario

  • Ogni frase vaga deve essere contestata con dati reali: certificazioni, visure, documenti fiscali, testimonianze, ecc.
  • Fare visura intercettazioni di quello che vi viene contestato presso il competente tribunale
  • Bisogna dimostrare che non esiste nessun condizionamento né concreto né potenziale.

Come difendersi se le accuse sono senza prove concrete?

  1. Richiedere accesso agli atti

    • Prima mossa: chiedere formalmente alla Prefettura tutti gli atti e documenti che hanno portato all’interdittiva.
    • Fondamentale per capire su cosa si basa il provvedimento.
  2. Ricorso al TAR

    • Si può fare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento.
    • Obiettivo: dimostrare che l’impresa è autonoma, non collusa, e che gli elementi indiziari sono infondati o decontestualizzati.
  3. Documentazione e dimostrazione concreta

    • Portare prove di trasparenza, assenza di rapporti con soggetti mafiosi, pulizia societaria, compliance aziendale.
    • Eventuali certificazioni ISO, protocolli di legalità, e distanza da familiari o collaboratori con precedenti possono aiutare.
  4. Chiedere la revoca o revisione

    • Dopo aver “ripulito” l’azienda (es. allontanato soci sospetti), si può chiedere revoca dell’interdittiva.
  5. Assistenza legale specializzata

    • È essenziale farsi assistere da un avvocato esperto in diritto amministrativo e antimafia. Non tutti sanno affrontare questi casi.

⚠️ Attenzione: perché è difficile

  • Il Prefetto ha ampio margine discrezionale.
  • Anche frequentazioni occasionali o parenti con precedenti penali possono bastare per l’interdittiva.
  • Spesso le interdittive si basano su accostamenti indiretti.

❗E se l’accusa è solo “di chiacchiere”?

In questo caso si può provare a:

  • Dimostrare l’infondatezza delle voci con fatti concreti.
  • Usare la giurisprudenza più recente che limita gli abusi dell’interdittiva (es. Consiglio di Stato ha più volte annullato provvedimenti basati solo su “frequentazioni sospette”).

📣 Nota bene

Non si può solo dire “non è vero”. Bisogna provare concretamente che:

  • l’azienda è autonoma
  • non esiste rischio attuale di infiltrazione
  • il rapporto interforze ha sbagliato valutazione

Interdittive Antimafia al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’uomo

Settembre 2024 Interdittive Antimafia al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’uomo “ANCHE L’INTERDITTIVA ANTIMAFIA AL VAGLIO DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO” 

Anche le interdittive antimafia sono finite al vaglio della CEDU.

Nei prossimi mesi, infatti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sarà chiamata a pronunciarsi sulla rispondenza ai principi convenzionali non solo delle misure di prevenzione personali e patrimoniali ablative, disposte dalla Autorità Giudiziaria, ma anche di quelle amministrative, quale è l’informativa interiettiva antimafia. Un’altra peculiarità della prevenzione, infatti, è di non essere presidiata pienamente dalla riserva di giurisdizione, con conseguenti asimmetrie nella valutazione dei presupposti applicativi delle misure.

L’interdittiva, in particolare, viene emessa dal Prefetto quando questi abbia sospetti di “tentativi” di infiltrazioni mafiose nell’impresa, al fine di inibire all’imprenditore ogni contratto ed ogni contatto con la Pubblica amministrazione. Gli effetti sono però più ampi, determinando usualmente la revoca degli affidamenti bancari e, di conseguenza, la cessazione dell’impresa.

Limitato è poi il sindacato del TAR, giudice competente a decidere sui ricorsi avverso l’interdittiva, il quale, pur disponendo in questa materia di un sindacato di merito, spesso si arresta a quello di legittimità proprio della valutazione dei vizi dell’atto amministrativo, senza affrontare la congruità logico-ricostruttiva della motivazione dello stesso.

Ora, finalmente, i Giudici convenzionali pongono al Governo Italiano dei quesiti ai quali sarà difficile dare una risposta convincente sull’effettivo carattere delle misure di prevenzione e sulla rispondenza del procedimento ai canoni del giusto processo.

Vogliono sapere, innanzitutto, se i ricorrenti abbiano avuto la possibilità di sottoporre le loro contestazioni a un “tribunale” con “piena giurisdizione” ai sensi della giurisprudenza sviluppata dalla Corte in relazione all’articolo 6§1 della Convenzione e se le norme applicate nel caso di specie, contenute nel decreto legislativo n. 159 del 2011, costituiscano una base giuridica sufficientemente accessibile, chiara e prevedibile, secondo le autorevoli indicazioni contenute nella nota sentenza De Tommaso.

Ma, soprattutto, chiedono all’Italia se l’ingerenza nella attività dell’impresa sia proporzionata, alla luce della interpretazione dei giudici nazionali dell’articolo 86 del D.L.vo 159/ 2011, stante la tendenzialmente illimitata durata nel tempo di questa misura di prevenzione, non a torto definita un “ergastolo imprenditoriale”.

La Corte EDU ha colto evidenti profili di contrasto della normativa nazionale con i principi convenzionali, stante la indeterminatezza delle condizioni che possono consentire al Prefetto di emettere il provvedimento interdittivo, che, incidendo sulla libertà di iniziativa economica (garantita dall’art. 41 della Costituzione), dovrebbe invece essere ancorato a basi legali chiare, precise, predeterminate e prevedibili.

La norma nazionale, invece, fa riferimento a “tentativi di infiltrazioni mafiosa”. Espressione del tutto generica ed oscura, idonea a consentire (come difatti avviene) una tale anticipazione della soglia di intervento statale, da consentire l’aggressione non solo degli imprenditori “compiacenti”, ma anche di quello “soggiacenti”, vittime, cioè della pervasività criminale mafiosa.

Ma, i giudici di Strasburgo si domandano anche se l’interdetto goda di un diritto di difesa effettivo, che possa essere esplicato avanti ad un giudice dotato di pieni poteri di cognizione.

Il riferimento a principi quali “precisione” e “prevedibilità (corollari della legalità formale), “effettività della difesa” e, soprattutto, “proporzionalità” è, nella sostanza, un refrain rispetto alle ordinanze interlocutorie rese nei procedimenti Cavallotti e Macagnino+27, in tema, rispettivamente, di pericolosità sociale qualificata e generica.

Si tratta di principi – la proporzionalità, in particolare – che evocano il concetto di sanzione penale. Il sospetto che la CEDU sembra nutrire sull’effettivo carattere delle misure di prevenzione pare essere proprio questo: se esse abbiano davvero natura amministrativa, ovvero possano e debbano essere considerate “pena”.

Le domande poste al Governo Italiano sembrano convergere verso una decisione che, a differenza di quanto accaduto in passato, potrebbe riconoscere carattere punitivo alle misure di prevenzione, con conseguente loro assoggettamento a tutte le regole della “materia penale”, sostanziale e processuale.

Fino ad oggi, il riconoscimento di un carattere non penale e la affermazione di finalità preventive hanno fatto passare in secondo piano l’enorme grado di afflittività che contraddistingue le misure di prevenzione.

I dubbi espressi nelle ordinanze interlocutorie, tuttavia, fanno sperare che la Corte EDU non si accontenti più, come in passato, della “lettura” dello strumento di prevenzione elaborato dalla giurisprudenza nazionale, ma intenda invece studiarne e valorizzarne la sostanza e gli effetti, per denunciarne il versante più marcatamente punitivo, denunciando queste misure nella loro reale dimensione di pene senza condanna.

*Osservatorio misure patrimoniali e di prevenzione dell’Unione Camere Penali Italiane

di Fabrizio Costarella e Cosimo Palumbo* 

Sicilia è boom di interdittive antimafia

Sicilia è boom di interdittive antimafia Tornando ai numeri su scala provinciale il primato delle interdittive spetta a Palermo con 112 provvedimenti notificati nel 2023. Una crescita che deve fare accendere più di una spia. È quella che riguarda le interdittive antimafia, provvedimenti amministrativi, adottati dai prefetti a livello locale, che hanno l’obiettivo di prevenire le infiltrazioni delle mafie […]

Nunzio Trinca Procedimento Amministrativo Privo di Prove

Nunzio Trinca, noto imprenditore nel settore delle onoranze funebri a Palermo, è stato destinatario di due interdittive antimafia emesse dal Prefetto di Palermo, Maria Teresa Cucinotta, nell’agosto 2023. I provvedimenti hanno riguardato le società “Aurora Assistance” e “Centro Servizi Funebri”, entrambe riconducibili a Trinca.

Le interdittive sono state adottate a seguito di indagini della Prefettura di Palermo del gruppo interforze che a loro giudizio hanno evidenziato presunti collegamenti tra l’imprenditore e ambienti mafiosi locali.​

Successivamente, Trinca ha espresso pubblicamente il proprio dissenso riguardo alle interdittive ricevute, sostenendo di essere stato colpito ingiustamente da un procedimento amministrativo privo di prove concrete.

Ha inoltre dichiarato di aver vissuto personalmente le difficoltà nel difendersi da tali provvedimenti e ha manifestato la sua delusione nei confronti del sistema giudiziario. malagiustiziasicilia.it

Per ulteriori dettagli sulle attività delle imprese funebri gestite da Trinca, è possibile consultare il sito ufficiale: nunziotrinca.it

Sentenze recenti del T.A.R. o del C.G.A. che trattano specificamente le difficoltà difensive contro le interdittive antimafia

Ecco alcune sentenze recenti rilevanti ai fini della difesa contro l’interdittiva antimafia, in particolare per quanto concerne le difficoltà probatorie e la tutela del contraddittorio:

  1. T.A.R. Caltanissetta, sentenza n. 733 del 30 settembre 2024
    La pronuncia evidenzia i limiti nella possibilità per l’impresa colpita da interdittiva di contrastare in modo effettivo gli elementi indiziari a fondamento del provvedimento prefettizio, anche quando non sia possibile accertare con certezza l’attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa. Il Tribunale sottolinea che l’onere della prova grava in modo gravoso sul soggetto colpito, specie in presenza di atti non accessibili o classificati.

    C.G.A. per la Regione Sicilia, ordinanza del 29 gennaio 2024
    La decisione tratta, seppur in via indiretta, l’effetto delle presunzioni nella valutazione delle informazioni prefettizie, con particolare riguardo all’inversione dell’onere della prova, che spesso grava sulla parte ricorrente. Viene ribadita la legittimità dell’utilizzo di elementi indiziari purché connotati da gravità, precisione e concordanza, rendendo tuttavia molto difficile una confutazione puntuale da parte della società interessata.
    Leggi il testo completo

Queste pronunce mettono in luce le problematiche sistemiche della tutela giurisdizionale avverso le misure interdittive antimafia.

Difficoltà difensive contro le interdittive antimafia

Le principali difficoltà difensive risiedono nella natura preventiva e cautelare dell’interdittiva antimafia. La giurisprudenza ha stabilito che il pericolo di infiltrazione mafiosa può essere valutato secondo un ragionamento induttivo di tipo probabilistico, che non richiede un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti.Studio Legale Trapani

Inoltre, l’accesso agli atti propedeutici all’adozione dell’interdittiva può essere limitato. Ad esempio, il TAR Sicilia-Catania ha riconosciuto che alcune relazioni di servizio delle forze di polizia possono essere sottratte al diritto di accesso per motivi di ordine e sicurezza pubblica.Scuderi Motta e Avvocati

Nunzio Trinca Procedimento Amministrativo Privo di Prove